Quanto ha senso oggi parlare di sciamanesimo? E quale significato hanno i rituali sciamanici per noi moderni? Sono domande molto legittime che qualunque persona curiosa di sciamanesimo potrebbe porsi leggendo dei libri sul tema o dopo aver partecipato ad un corso o ad un cerchio sciamanico.

 

Chiunque intraprenda un percorso di ricerca spirituale o ampliamento della consapevolezza, non può non rendersi conto di quanto tale percorso sia variegato e caratterizzato da infinite direzioni. Che poi si ricongiungono nello stesso punto. Ognuno può partire solo ed esclusivamente dal punto in cui si trova. A seconda del suo equipaggiamento personale e della sua capacità di allontanarsi da quel punto di partenza, potrà esperire paesaggi, cammini e conoscenze mai neanche immaginati prima, in modi diversi.

Ciò che determina la direzione è la nostra scelta e la nostra indole in quel momento. Inutile, quindi, approcciarsi ad un percorso sciamanico se si sta cercando esclusivamente la verità oggettiva e dimostrabile di fatti, dall’esterno di se stessi. Qualsiasi comprensione spirituale è parte di noi –la nostra verità.

 

Ma veniamo a chi si sta cimentando con passione con l’esperienza sciamanica, magari dopo aver fatto un po’ a pugni con la propria mente razionale, spinto da un’esigenza di riallacciare i legami con la Natura, con la propria Anima, con l’armonia insita nella vita. Chi si senta in un processo che induce a modificare la percezione della vita, ma non ne conosce ancora le coordinate.

Il mondo moderno ci ha ormai abituati ad ogni sorta di immediatezza e ad esperienze ben disinfettate da anacronistiche superstizioni.   Oggi abbiamo accesso a spazi illimitati di conoscenza, basta averne le password. Nelle antiche culture tribali, in cui era naturalmente sviluppato e praticato il senso del sacro ed il rispetto per qualsiasi spazio che ci circonda – incluso il rispetto per lo spazio di altri esseri – queste password si chiamavano rituali. I rituali sono basati su suoni, movimenti, ispirazioni, pervasi da  intenzioni pure. Essere un osso vuoto durante un rituale o una cerimonia, implica, nella concezione sciamanica, il creare una condizione interiore in cui non vi è posto né per la paura, né per il dubbio, né per  il giudizio. Non vi è intenzione di nuocere ad alcuno, né di invadere spazi di altri senza il loro permesso. Non vi è posto per la separazione da forze più grandi di noi, a cui ci si può appellare per chiedere quanto a noi, talvolta, non è dato realizzare: poter alleviare le sofferenze dell’umanità. Per i popoli tribali questo era il linguaggio adoperato con il trascendente o Realtà non ordinaria. Essi aprivano varchi ed accedevano ad altre realtà in cui sapevano di trovare guida, guarigione, informazioni per vivere adeguatamente. Anche a noi moderni sarebbero utilissime queste opportunità. Ma  qual è il nostro modo per aprire quei varchi? Dato che non siamo nati nè viviamo in tribù, ci è davvero possibile accedere alle realtà non ordinarie utilizzando rituali datati e superati? La risposta dovrà darsela ogni ricercatore autentico che abbia voglia di cimentarsi, in modo onesto e profondo, in prima persona, con tali esperienze. La mia esperienza mi ha portata a sperimentare e vivere rituali –definiti  primitivi da taluni , specie da coloro che non hanno avuto la costanza di sperimentare a fondo- rituali, dicevo, che hanno permesso alla mia mente di farsi da parte  per far spazio ad altri canali percettivi caratterizzati da esperienza di compassione, assenza di giudizio, fiducia. E dunque quanto i rituali sono davvero scollegati da noi moderni? Almeno quanto noi siamo scollegati da una dimensione dimenticata del nostro stato naturale di armonia e bellezza. Perché le nostre convinzioni basate su una folle rincorsa al conseguimento di un potere esteriore, la bramosia verso tutto ciò che è materiale o che soddisfa la mente, soprattutto al fine di dimostrare una presunta superiorità, ci stanno conducendo verso l’amnesia nei confronti del nostro mondo interiore. Verso il doverci difendere dalle paure invece che l’aprirci ed espandere la nostra coscienza, con umiltà e disponibilità verso la nostra umanità, che a volte richiede tempo.

Un tempo che appartiene ad un mondo la cui password è la Visione.

 

Rachele Giancaspro